Breve vademecum sul green pass nei luoghi di lavoro. Aggiornamento di metà ottobre | Studio Legale Menichetti

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LA CERTIFICAZIONE VERDE

Il Consiglio dei ministri del 16 settembre 2021 ha reso obbligatoria la certificazione verde COVID-19 (cd. green pass) per i lavoratori, sia pubblici che privati, compresi gli autonomi ed i collaboratori familiari, a partire dal 15 ottobre 2021 e fino al prossimo 31 dicembre.

Ai sensi dell’art. 9, comma 2 del decreto-legge 22.4.2021 il green pass attesta una delle seguenti condizioni:

- avvenuta vaccinazione (ha una validità di dodici mesi a far data dal completamento del ciclo vaccinale. Il green pass è rilasciato anche contestualmente alla somministrazione della prima dose di vaccino e ha validità dal quindicesimo giorno successivo alla somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale;

- avvenuta guarigione con somministrazione di prima dose (validità di dodici mesi);

- avvenuta guarigione senza vaccino (validità di sei mesi a far data dall'avvenuta guarigione);

- effettuazione di test molecolare o rapido con esito negativo (validità rispettivamente di 72 o 48 ore dall'esecuzione del test).

Sono esclusi dall’obbligo di esibizione del green pass solo quanti sono stati esentati dalla campagna vaccinale e quindi in possesso di una idonea certificazione medica (cfr. art. 9 septies, comma 3° del D.L. 22.4.2021 n. 52), che può essere rilasciata solamente, applicando le regole dettate dal ministero della Salute, dai medici del servizio vaccinale e dai medici di base. Detta certificazione potrebbe peraltro essere verificata dal medico competente aziendale, laddove presente.

Attenzione: è da escludersi che la predetta certificazione medica possa essere sostituita da un’autocertificazione, che supererebbe i limiti dettati rispettivamente dagli artt. 46 e 47 DPR 445/2000 e sarebbe pertanto da considerarsi illegittima e/o comunque inefficace ai sensi dell’art. 49, rubricato “Limiti di utilizzo delle misure di semplificazione”, in base al quale “I certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore”: diversa disposizione che le norme che disciplinano il green pass non contengono affatto.

ACCESSO AL LUOGO DI LAVORO E CONTROLLI

Lavoro privato. Il green pass sarà quindi indispensabile per accedere ai luoghi di lavoro.
Varrà anche per chi non ha cartellini da timbrare: per i professionisti ed i lavoratori autonomi che debbono accedere ad una azienda, per le colf e le badanti, così come per l’idraulico o l’elettricista che entrino in una abitazione privata per effettuare i lavori richiesti.

Lavoro pubblico e dintorni. Non solo i dipendenti pubblici (di tutti gli enti e soggetti pubblici) dovranno avere il green pass, ma anche:
- i dipendenti di aziende private che collaborano con gli enti pubblici;
- quanti svolgono attività di volontariato e di formazione presso detti enti;
- professionisti, lavoratori autonomi e collaboratori che operino preso una PA, anche con contratti esterni;
- coloro che partecipano ai concorsi pubblici (esaminatori, candidati, personale amministrativo e di sorveglianza) con prove che non si svolgano a distanza;
- quanti accedono, anche solo come visitatori nelle scuole;
- componenti degli organi di governo locali.

Controlli.
Sono i datori di lavori (i dirigenti apicali, quali i segretari generali o i segretari comunali, negli Enti Pubblici) a dover verificare il possesso del green pass.
I controlli dovranno essere fatti preferibilmente all’ingresso, anche a campione, dai responsabili che dovranno essere nominati con atto formale comunicato ai dipendenti ed a tutti gli interessati.
L’utilizzatore della prestazione lavorativa deve verificare il possesso del green pass anche da parte dei lavoratori autonomi o somministrati che hanno accesso all’ambiente di lavoro di sua pertinenza.
Come previsto dagli artt. 15 e 17 del DPCM 17 giugno 2021, richiamato dal D.L. 127/20121, il green pass può essere verificato mediante la scansione del c.d. QR Code apposto sullo stesso, utilizzando la App Verifica C19 od altri sistemi di verifica elettronici o automatizzati (“totem” e tornelli con software integrati). La verifica deve essere limitata all’autenticità e validità della certificazione verde, senza pretenderne copia e/o potersi accertare se è rilasciata per vaccino, guarigione o tampone.
In un futuro auspicabilmente prossimo, sarà possibile, almeno per le Pubbliche Amministrazioni e le aziende private più grandi, effettuare i controlli anche interrogando banche dati nazionali gestite da Sogei (Società Generale d'Informatica S.p.A., che opera nel settore dell'ICT ed è controllata al 100% dal Ministero dell'economia e delle finanze) che sta all’uopo apprestando il sistema informatico in collaborazione col Ministero della Salute e con l’INPS.
Gli Enti Pubblici potranno anche utilizzare la piattaforma NoiPa, sempre gestita in collaborazione con Sogei.

È legittima la registrazione e raccolta dei dati personali?
In occasione dei controlli in questione, si può invece chiedere – nel caso di dubbio - la contestuale esibizione del documento di identità dell’intestatario del green pass, del quale – stante le previsioni del decreto legge in questione e la vulgata corrente, non potrebbero però essere raccolti i dati.
Ciò è senz’altro vero per il collaboratore presentatosi con un valido green pass. Ma il verificatore, a parere degli scriventi, dovrebbe trasmettere senz’altro al datore di lavoro i nominativi dei dipendenti che debbono essere considerati assenti ingiustificati perché privi di certificazione verde. In tal caso ricorrono più condizioni previste dall’art. 6 del GDPR - Regolamento generale sulla protezione dei dati (UE/2016/679) per considerare lecita l’identificazione del lavoratore, nonché la registrazione del suo nominativo e la comunicazione dello stesso alla direzione aziendale. Il trattamento dei dati personali del dipendente senza green pass è infatti da considerarsi sicuramente necessario all’esecuzione del contratto di lavoro, per registrarne l’assenza, ai fini amministrativi e retributivi (cfr. lett. b art. 6), nonché per adempiere all’ obbligo legale, al quale è soggetto il datore di lavoro, di considerare in tal caso il dipendente assente ingiustificato senza poter procedere alla irrogazione delle sanzioni disciplinari, pur in astratto previste in simili situazioni dai contratti collettivi (alcuni dei quali prevedono addirittura il licenziamento dopo tre giorni consecutivi di assenza priva di giustificazione). Trattasi quindi di un trattamento effettuato nel precipuo interesse del lavoratore, oltre che correlato, ai sensi della lettera f) dell’art. 6 de quo al perseguimento del legittimo interesse del datore di lavoro che deve essere messo nelle condizioni di evitare da un parte di subire assenze ingiustificate “non giustificate” (ci si perdoni il gioco di parole) dall’assenza di green pass e dall’altra di non irrogare al dipendente sanzioni disciplinari illegittime, con eventuali conseguenze di carattere risarcitorio.
Debbono, inoltre, essere sempre raccolti e trasmessi alla Prefettura, per l’adozione delle sanzioni amministrative previste dal D.L. ed anche ai sensi della lettera e) del cit. GDPR, i dati di chi, eludendo i controlli, venisse trovato a svolgere attività lavorativa in azienda.

Richieste di informazioni preventive da parte del datore di lavoro.
Il decreto-legge 139/2021 ha opportunamente previsto che il datore di lavoro, in presenza di specifiche esigenze organizzative, possa richiedere ai suoi collaboratori di comunicargli, con un congruo preavviso, l’eventuale mancato possesso di certificazione verde.
Le predette esigenze organizzative, che dovrebbero essere interpretate elasticamente, in modo da garantire una efficace programmazione delle attività lavorative, possono consistere, ad esempio: nel lavoro a turni, nella preparazione delle trasferte, nell’invio in missione o in somministrazione di personale, nell’approntamento di presidi di sicurezza e/o nel conoscere preventivamente la forza lavoro disponibile per compiere attività specifiche o adempiere a commesse per le quali l’azienda è contrattualmente impegnata a rispettare tempistiche determinate.
I lavoratori sono tenuti, anche ai sensi dell’obbligo di correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro (art. 1375 c.c.), a rispondere alla predetta richiesta, il mancato riscontro alla quale - a differenza del mancato possesso del green pass - può essere foriero di conseguenze disciplinari e risarcitorie.

Spese relative al tampone.
Il tampone non è a carico del datore di lavoro.
Qualora quest’ultimo decidesse di sostenerne le spese, il relativo esborso sarebbe da considerarsi un benefit da tassarsi in capo al dipendente. A meno che non sia previsto da un apposito regolamento o accordo aziendale come welfare aziendale o benefit rientrante nel plafond di 258 euro annui non soggetto a tassazione (come pandoro e/o spumante)

Altre misure di sicurezza.
Non è detto che il green pass possa evitare ogni occasione di contagio. E i datori di lavoro, ai sensi del D. Lgs 81/2008 e dell’art. 2087 del codice civile, sono sempre obbligati ad adottare ogni misura di sicurezza utile, anche non espressamente prevista dalle normative vigenti, al fine di evitare i contagi (cfr. sentenza Tribunale di Bergamo 27 settembre 2021 n. 4718).
Ad esempio, il lavoratore che non può essere vaccinato per particolari esenzioni legate al suo stato di salute, potrebbe essere ritenuto, dal medico competente, inidoneo all’esercizio delle sue mansioni, qualora sussistesse un rischio di contagio. Il datore di lavoro potrebbe inoltre richiedere al lavoratore già vaccinato l’effettuazione anche del tampone molecolare in situazioni lavorative che non consentono di rispettare le distanze di sicurezza o il ricorso alle mascherine.

PROVVEDIMENTI CORRELATI AL MANCATO POSSESSO DI GREEN PASS

Per chi è sprovvisto di green pass.

Assenza ingiustificata. Il lavoratore, sia pubblico che privato, che comunica di non avere il green pass viene considerato assente ingiustificato e non percepisce alcuna retribuzione od emolumento fino alla eventuale presentazione della certificazione obbligatoria.

Nelle aziende con meno di 15 dipendenti, dopo 5 giorni di assenza ingiustificata, il datore di lavoro può assumere un lavoratore a termine (o somministrato) e sospendere il lavoratore in possesso del green pass sostituendolo per un periodo di 10 giorni, rinnovabile di altri 10.
La ratio di questa previsione normativa sembra consistere nell’evitare di dover corrispondere la retribuzione non solo all’assunto a termine ma anche al dipendente, prima senza green pass, che se ne munisse e pretendesse di essere riammesso al lavoro. Infatti, potrebbe darsi il caso in cui, dopo che è stato assunto a termine un sostituito il lavoratore senza green pass chieda di tornare al lavoro presentando la certificazione di legge. In questo caso si avrebbe il rischio di una doppia retribuzione che il legislatore ha voluto evitare con il sistema sopra descritto.

Nelle aziende sopra i 15 dipendenti non sono al momento previste sospensioni dei dipendenti assenti ingiustificati senza green pass, fermo restando che il lavoratore che non esibisca il green pass è anche in questo caso assente ingiustificato e pertanto non percepirà alcuna retribuzione. Ma nulla impedisce che i relativi datori di lavoro assumano lavoratori a termine, sulla base delle ordinarie leggi vigenti, per sopperire alle carenze di organico dovute alle misure anti-covid.
Del resto, anche nelle imprese con meno di 15 dipendenti, trascorsi i 20 giorni di sospensione di cui si è detto sopra, nulla impedisce di procedere ad altre assunzioni a termine, seppure con il rischio che il lavoratore non in possesso di green pass recuperi il certificato verde prima della scadenza del contratto a termine del lavoratore assunto in sostituzione, il che comporterebbe l’obbligo di retribuire tanto il sostituto che il sostituito.

Sanzioni. Non vi saranno conseguenze disciplinari per il dipendente che comunichi di non avere il green pass e non volervi ricorrere. In deroga alle normative vigenti, il lavoratore refrattario al certificato verde non potrà neppure essere licenziato per le assenze ingiustificate.
Ma il lavoratore (anche autonomo o comunque esterno all’azienda) che svolge attività lavorativa senza green pass, magari eludendo i controlli, rischia sia le sanzioni disciplinari, irrogate dal datore di lavoro, che quelle amministrative, da 600 a 1500 euro, irrogate dal Prefetto. In caso di reiterazione dell’illecito, le sanzioni vengono raddoppiate.

Nei confronti del datore di lavoro.
I datori di lavoro che non effettuano i controlli obbligatori rischiano sanzioni, sempre irrogate dal Prefetto, da 400 a 1.000 euro (ma l’importo può raddoppiare nel caso di violazioni reiterate).

SITUAZIONI E LUOGHI SPECIFICI

Operatori sanitari.
L’obbligo del green pass vale naturalmente (essendo già in vigore l’obbligo vaccinale) per tutti gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori che operano nelle strutture, pubbliche o private che siano, sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, nonché nelle farmacie e parafarmacie e negli studi professionali.
L’operatore sanitario, che non possa essere adibito a diverse mansioni, resta sospeso senza retribuzione sino a che non si munisca di green pass.
I medici che non si vaccineranno non potranno esercitare la professione, almeno fino al 31 dicembre.

Lavoro agile (smart working).
Chi lavora a casa non è tenuto ad esibire il green pass.
Attenzione: il lavoro agile non può essere preteso come alternativa alla sospensione senza retribuzione.
Il lavoratore in smart working, che alterna il lavoro a casa con quello in presenza può essere sospeso senza retribuzione in relazione ai giorni nei quali deve trovarsi in azienda.
Ma il datore di lavoro che non avesse interesse ad una attività lavorativa frammentari o parziale (cfr. art. 1464 c.c.) potrebbe recedere dallo smart working e sospendere del tutto, ovviamente senza retribuzione, il collaboratore senza green pass.

Studi professionali
Il professionista è sicuramente tenuto, al pari degli altri datori di lavoro, a controllare che i suoi dipendenti e collaboratori siano muniti di green pass.
Ma il testo attuale del decreto non prevede che i clienti siano obbligati ad esibire il green pass. E non è neppure chiaro se il certificato verde debba essere posseduto dal professionista titolare di studio, visto che non tutti i professionisti (almeno se estranei all’ambito sanitario) vi sono tenuti.

Uffici giudiziari.
Il green pass è obbligatorio per i magistrati ordinari, quelli amministrativi contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato, i componenti di commissione tributaria.
L’accesso all’ufficio giudiziario di chi è sprovvisto del certificato verde può comportare sanzioni amministrative e disciplinari.
I magistrati onorari, pure tenuti a munirsi di green pass, rischiano la immediata sospensione e la decadenza automatica dopo 30 giorni.
Non c'è invece obbligo di esibire la certificazione in questione per gli avvocati, i consulenti, i periti e gli altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia.

Questo breve vademecum vuol dare una indicazione di massima, sulla base di quelle che sembrano essere le interpretazioni più ragionevoli e convincenti sino ad ora date alle nuove normative. Naturalmente non si pretende di poter qui dissipare tutti i dubbi interpretativi che stanno insorgendo e che saranno forse – almeno in parte - risolti dalle ulteriori indicazioni che perverranno dalla Presidenza del Consiglio. (LC -OC)

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