Gdpr e richiesta del certificato penale del lavoratore| Studio Legale Menichetti

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Siamo al vuoto normativo?

Con l’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), la richiesta, al momento della assunzione, di certificati relativi alle condanne penali o alle misure di sicurezza riportate dal lavoratore è lecita solo se prevista e autorizzata dal diritto dell'Unione o dello Stato membro, essendo oramai non più valida ed efficace l’Autorizzazione Generale n. 7/2016 del Garante della Privacy (cfr. artt. 10 GDPR e 21, comma 3 del Decreto Legislativo n. 101/2018 di adeguamento).

In mancanza di una norma specifica avente forza di legge o di regolamento (non basta, quindi, l’eventuale previsione del contratto collettivo), la richiesta dei predetti certificati deve essere almeno prevista “da un decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentito il Garante.” (art. 2 octies Decreto Legislativo cit.).

Detto decreto ministeriale non è ancora stato emanato e saremmo quindi in presenza di un vuoto normativo assai grave, in quanto l’unanime dottrina e la costante giurisprudenza hanno sempre affermato la giustificatezza della richiesta del certificato penale del casellario giudiziale per la particolare natura del rapporto e/o posto di lavoro.

Tale vuoto può essere scongiurato ai sensi dell’art. 8 della legge 300/70, che, vieta “al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore”.

Applicando a contrario la suddetta norma, infatti, la richiesta del certificato penale si giustifica con la rilevanza che può avere, in determinati contesti lavorativi ed ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore, la conoscenza di informazioni relative all'esistenza a suo carico di condanne penali passate in giudicato. Una applicazione a contrario, ma di certo a proposito ed avvalorata dalla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 17/07/2018, n. 19012).

Tanto più che il nostro ordinamento in taluni casi non solo autorizza, ma addirittura obbliga a richiedere il certificato penale del casellario giudiziale, come nel caso dei datori di lavoro e dei committenti che vogliano assumere un collaboratore per lo svolgimento di attività lavorative o volontarie che comportino contatti diretti e regolari con minorenni, i quali sono tenuti a verificare l’esistenza di condanne o sanzioni interdittive relative a reati connessi con la prostituzione e la pornografia minorile di cui agli artt. 600bis, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies, 609 undecies (cfr. Direttiva Europea n. 2011/93 e D.Lgs. 4/3/ 2014 n. 39).

E il casellario giudiziale deve essere sempre richiesto anche per l’affidamento di appalti pubblici (Cassazione civile, sez. I, 22/09/2011, n. 19364; cfr. art. 75 d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 e art. 71 d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445).

L’opportunità e finanche la necessità, siccome ricavabili dalla normativa in vigore e dalla giurisprudenza di legittimità, di consentire al datore di lavoro di verificare, almeno per determinati rapporti, l’insussistenza di precedenti penali passati in giudicato non sembra però potersi spingere fino ad autorizzare il controllo della sussistenza di procedimenti penali in corso.

Si può quindi ritenere legittima la richiesta del casellario giudiziale, ma non quella del certificato dei carichi pendenti, in considerazione del principio costituzionale della presunzione d'innocenza (art. 27 Cost.), che verrebbe altrimenti gravemente violato assieme alla privacy del lavoratore (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 17/07/2018, n. 19012). (LC)

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