L’obbedienza non sempre è una virtù, neppure sul lavoro| Studio Legale Menichetti

Magazine

Può essere licenziato chi pone in essere un illecito obbedendo ad un superiore gerarchico

L’obbedienza non è più una virtù, ebbe a dire Don Lorenzo Milani.

Vale anche per il rapporto di lavoro, almeno secondo la Cassazione (23600/2018) che, contraddicendo le decisioni dei giudici di merito, ha dichiarato legittimo il licenziamento di un dipendente che aveva tenuto una condotta illecita in esecuzione dell’ordine impartitogli da un superiore gerarchico ma in contrasto con le normative e le procedure statali e aziendali.

Nel caso di specie il lavoratore aveva falsamente contabilizzato dei lavori non eseguiti al fine di inserire alcuni metri di tubature lineari all'interno della cartografia aziendale e nel patrimonio della stessa, così aggiornando tardivamente informazioni che non erano state registrate al tempo dell'effettiva esecuzione dei lavori di ristrutturazione.

L’aver obbedito alle direttive di un superiore non esclude, secondo la sentenza 23600/2018, la responsabilità del lavoratore, che abbia violato sia le normative pubbliche che le procedure previste dal datore di lavoro, con grave compromissione della fiducia di quest’ultimo nel futuro corretto adempimento delle prestazioni del suo dipendente.

Il lavoratore non può infatti invocare la scriminante dell’art. 51 del codice penale, che riguarda solo chi commette fatti illeciti nella esecuzione di un ordine della pubblica autorità.

E’ però necessario che sussista una palese e grave divergenza tra il contegno tenuto dal dipendente e la disciplina normativa prevista dall’ordinamento giuridico e dalle procedure aziendali: una divergenza che deve essere peraltro conosciuta, o comunque conoscibile, da parte del lavoratore. (LC)

Ruota il dispositivo!