La forma del licenziamento. In breve, lo stato dell’arte sulle modalità di comunicazione del recesso datoriale| Studio Legale Menichetti

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Ai sensi dell’art. 2 della legge 604/66 il licenziamento deve essere comunicato in forma scritta. Ma la norma non impone una particolare modalità di comunicazione, né stabilisce la necessità della sottoscrizione. Perciò, pur essendo senz’altro preferibile ricorrere alla raccomandata con ricevuta di ritorno, si può comunicare il recesso datoriale anche con altri mezzi (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 13/08/2007, n. 17652).

La lettera di licenziamento può, ad esempio, essere consegnata brevi manu al dipendente interessato. Ma nel caso di rifiuto da parte dello stesso di firmare per ricevuta una copia della missiva, è opportuno che la consegna avvenga alla presenza di testimoni, in quanto – qualora il dipendente negasse il ricevimento – incomberebbe sul datore di lavoro l’onere di comprovare l’avvenuta comunicazione.

E’ da considerarsi legittimo anche il recesso datoriale con ricorso al mezzo del telegramma dettato per telefono (cfr. Cass. n. 10291/2005, n. 19689/2003, n. 9790/2003) o dell’sms (Corte appello Firenze, 05/07/2016, n. 629) o del telefax (cfr. Tribunale Torino, 23/07/2014). Ma anche in questo caso il datore di lavoro può trovarsi in seguito a dover provare – documentalmente, con testimoni e/o per presunzioni – di aver effettivamente  comunicato il recesso con le modalità anzidette.

Il licenziamento può essere anche comunicato via mail, con preferenza, in questo caso, per il ricorso alla posta elettronica certificata, magari con sottoscrizione digitale. E’ però possibile anche la comunicazione senza ricorso alla pec, cioè con una semplice e mail, che dovrebbe comunque almeno contenere l’intestazione alla ditta e l’indicazione in calce del mittente; ma col rischio – in questo caso - di vedersi poi contestare dalla controparte l’efficacia del recesso, dovendo così dimostrare l’effettivo invio della mail e/o l’effettivo ricevimento della stessa da parte del dipendente (cfr. Cass. N. 29753/2017). (LC)

 

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