Licenziamento collettivo dei dirigenti| Studio Legale Menichetti

Magazine

L’art 16 della L. 161/2014 ha aggiunto un comma (l’1 quinquies) all’art. 24 della L. 223/1991, estendendo la procedura del licenziamento collettivo ai dirigenti.

Si tratta di un’estensione normativa di grande importanza, resasi necessaria per chiudere una procedura d’infrazione aperta dall’Europa nei confronti del ns. Paese, reo, nel 1991, nel recepire la direttiva europea 98/59/CE sui licenziamenti collettivi, di non aver incluso la categoria dei dirigenti tra i lavoratori subordinati cui applicare la nuova disciplina sulla riduzione collettiva del personale.

L’originaria esclusione dei dirigenti dall’ambito d’applicazione della L. 223 si ricavava da un dato normativo testuale, seppure indiretto, fornito dall’art. 4, c. 9, di detta legge, secondo cui “raggiunto l’accordo sindacale ovvero esauri-ta la procedura di cui ai commi sesto, settimo e ottavo, l’impresa ha facoltà di collocare in mobilità gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti”.

Sino alla novella del 2014, la L. 223 non s’applicava, quindi, ai dirigenti, per i quali la vicenda collettiva poteva assumere rilevanza giuridica solo se gliela riconosceva, come nel caso dei dirigenti industriali, il contratto collettivo: mi riferisco all’Accordo interconfederale del 27.04.1995 (disdettato nell’ottobre 2014, a distanza di pochissimi giorni dall’approvazione della L. 161) che stabiliva che - qualora il datore di lavoro avesse motivato il licenziamento a causa di “specifiche fattispecie di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione ovvero crisi aziendale” riconosciute con D.M. - il dirigente, rinunciando all’impugnazione del licenziamento, avrebbe avuto diritto ad una speciale indennità.

Nel febbraio 2014, è intervenuta, però, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, che, a conclusione della causa C-596/12 promossa dalla Commissione Europea contro la Repubblica Italiana, ha affermato che il ns. Paese - “avendo escluso […] la categoria dei “dirigenti” dall’ambito di appli-cazione della procedura prevista dall’art. 2 Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri in materia di licenziamenti collettivi” - era “venuto meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 1, par. 1 e 2, di tale direttiva”, che “non ammette, né in modo esplicito né in modo tacito, alcuna possibilità per gli Sta-ti membri d’escludere dal suo ambito d’applicazione questa o quella categoria di lavoratori subordinati”.

In Italia, infatti, si continuava ad escludere i dirigenti dalle procedure collettive di riduzione del personale, facendo leva sulle peculiarità del rapporto dirigenziale, in particolare sull’elemento fiduciario che, da sempre, lega manager e datore di lavoro (elemento cui invero - nella definizione comunitaria di lavo-ratore subordinato - non viene dato alcun rilievo).

Interessante è il passaggio della sentenza della Corte di Giustizia, in cui viene sottolineata la centralità del controllo svolto ex ante sul progetto di riduzione collettiva del personale, che, ove coinvolga dei dirigenti, non può che svolger-si anche a loro favore dal momento che l’esigenza d’evitare o ridurre i licen-ziamenti non può certamente essere condizionata dall’appartenenza ad una specifica categoria.
La novità di maggior rilievo dell’art. 16 della L. 161/2014 è di tipo quantitativo.

Dall’entrata in vigore di tale norma (dichiaratamente integrativa dell'originario testo di legge e non d’interpretazione autentica, come chiarito da Cass. 5513/2018, che ne ha escluso l’applicazione a precedenti procedure interessanti la posizione di dirigenti), in caso di licenziamento collettivo che coinvolga i dirigenti, anche questi devono essere computati nella soglia dimensionale dell’azienda (oltre 15 dipendenti) e nel numero dei lavoratori ritenuti in esubero (almeno 5 dipendenti).

Per quanto concerne l’avvio della procedura, la comunicazione d’apertura va indirizzata alla RSA dei dirigenti, se costituta, o - situazione ben più frequente nella prassi - alle OO.SS. maggiormente rappresentative della categoria (Federmanager, Manageritalia, etc.).

Sul punto, si segnala la sentenza n. 2227/19 della S.C., che ha affermato che “in forza dell'art. 24, comma.1-quinquies, l. n. 223 del 1991, la comunicazione di avvio della procedura e la previa consultazione delle organizzazioni sindacali di categoria, maggiormente rappresentative sul piano nazionale, trova applicazione anche qualora vi siano coinvolti lavoratori con qualifica dirigenziale, così adempiendo lo Stato italiano agli obblighi derivanti dalla Direttiva 98/59/CE. La violazione delle regole procedurali comporta automaticamente la condanna al pagamento di una indennità a favore del lavoratore, non neces-sitando la prova del danno sopportato”.

L’esame congiunto, di cui all’art. 4, cc. 5 e 7, L. 223 tra azienda e sindacati dei dirigenti dev’essere svolto in “appositi incontri” volti a valutare la situa-zione dei manager in esubero.

La legge fa espresso riferimento ad “appositi incontri”, riferendosi alla possi-bilità di svolgere un esame con le rappresentanze sindacali dei dirigenti in sede separata rispetto a quella di confronto coi sindacati degli altri lavoratori, fermi restando i termini e l’iter procedimentale.

Tale previsione è volta, chiaramente, a favorire la definizione di criteri di scelta ed eventuali soluzioni alternative al recesso che tengano conto delle specificità del rapporto di lavoro dirigenziale e degli interessi significativamente eterogenei dei manager rispetto al resto del personale.

La fase di consultazione così si sdoppia su due “binari paralleli”, con il rischio - va detto - di uno sfasamento dei tempi quando la stessa si concluda già in fase sindacale per operai, impiegati e quadri, mentre si protragga in fase amministrativa per i dirigenti, o viceversa.
Potrebbe, altresì, verificarsi il caso che la procedura si concluda con un accor-do per i dirigenti e non per il resto del personale, o viceversa.

Così come potrebbe accadere che l’esame congiunto non venga richiesto dalle OO.SS. dei dirigenti, mentre venga avviato unicamente con riferimento alle altre categorie, o viceversa.

Altro aspetto di rilievo sul licenziamento collettivo dei dirigenti, ed in particolare sulla scelta di quelli da licenziare, è l’aver esteso i criteri selettivi residuali stabiliti dalla legge (carichi di famiglia, anzianità di servizio ed esigenze tecni-co-produttive e organizzative aziendali) per individuare i dirigenti eccedenti.

La L. 161 stabilisce, infatti, espressamente che tale individuazione dovrà avvenire nel rispetto dei criteri selettivi pattuiti nell’ambito dell’esame congiunto o, in mancanza d’accordo, di quelli previsti dall’art. 5 della L. 223.

Tale previsione ha destato particolare stupore tra gli addetti ai lavori non solo perché la sentenza comunitaria non aveva avallato alcuna estensione dei predetti tre criteri di scelta, probabilmente considerandoli poco coerenti con la peculiare natura fiduciaria del rapporto tra dirigente e imprenditore, ma anche perché, nel caso in cui vi siano dirigenti in posizioni professionali potenzial-mente intercambiabili, le imprese potrebbero veder limitata la propria discre-zionalità nell’individuare l’esubero.

Va detto, però, che sino ad oggi, almeno leggendo le rassegne giurisprudenziali, proprio per la ragione che le posizioni dirigenziali si caratterizzano per una spiccata individualità ed infungibilità, la novità legislativa ha avuto - di fatto - un impatto, davvero, circoscritto.
Al riguardo, comunque, è auspicabile attendersi un atteggiamento proattivo delle OO.SS. al fine di definire criteri più confacenti alla categoria dirigenziale.

Sul punto, una, peraltro, isolata recente pronuncia della Corte d’appello di Mi-lano (la n. 1380 del 9/9/19) ha affermato non solo che è necessario comunicare i criteri di scelta dei dirigenti in esubero, ma anche che “non assume rilevanza il grado di autonomia o di fungibilità del singolo dirigente all’interno di una data impresa […]. Al riguardo si rileva, in primo luogo, che la fungibilità tra le posizioni dirigenziali è configurabile non esclusivamente tra i c.c. mini-dirigenti, ma anche tra i dirigenti apicali, poiché dipendente dal grado di specificità delle professionalità e non dalla posizione rivestita dal dirigente nell’organigramma aziendale. Per altro verso […] una eventuale non fungibilità tra le posizioni dei dirigenti ben può essere valorizzata dall’impresa attribuendo un peso preponderante all’applicazione del criterio legale di scelta costituito dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative”.

Circa il regime sanzionatorio, è prevista un’unica sanzione per l’ipotesi della violazione delle procedure ex art. 4, c. 12, L. 223 ovvero dei criteri di scelta concordati col sindacato o stabiliti dalla legge; in entrambi i casi, infatti, la L. 161 stabilisce che il datore di lavoro sia tenuto a corrispondere al dirigente licenziato illegittimamente un’indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla gravità della vio-lazione, fatte salve le diverse previsioni eventualmente contenute nei contratti collettivi.

Solo in caso di recesso intimato in forma orale o di licenziamento discriminatorio, in generale di licenziamento nullo, trova applicazione l’art. 18 St. lav., con diritto del dirigente licenziato alla reintegra nel posto di lavoro.

Ci si è chiesto quale rapporto sussista tra l’indennità di cui alla L. 161/2014 e l’indennità supplementare per il licenziamento ingiustificato di cui alla con-trattazione collettiva nazionale di lavoro.

In altri termini, l’indennità oggi prevista dalla legge per i dirigenti si sostituisce, si aggiunge all’indennità di cui al CCNL ovvero trova applicazione solo quest’ultima?

La questione ha trovato una prima risposta nell’accordo di rinnovo del CCNL dei dirigenti industriali siglato il 30.12.2014 (ed in quello successivo del 2019) ove si è espressamente stabilito che le norme sull’indennità supplementare - riscritta peraltro in funzione crescente dell’anzianità di servizio sul modello del Jobs Act - non trovino applicazione nel caso di licenziamento collettivo dei manager.

Da ultimo, si segnala che, sempre in tal caso, non si applicano le norme in materia di contributo d’ingresso, d’iscrizione nelle liste di mobilità e d’erogazione della relativa indennità; anche questa disposizione ha destato qualche perplessità soprattutto perché gli stessi dirigenti sopportano un prelievo contributivo mensile per sostenere la mobilità che, comunque, ora è stata eliminata, residuando solo l’istituto della NASpI. (EP, CP)

Ruota il dispositivo!