Il D.Lgs. 23/2015, introducendo il contratto c.d. “a tutele crescenti”, ha riformato la disciplina dei licenziamenti, prevedendo, all’art. 3, la nozione d’insussistenza del “fatto materiale contestato”, sottraendo al giudice – chiamato a valutare la fondatezza del licenziamento – ogni sindacato di proporzionalità tra la violazione addebitata al lavoratore e il recesso datoriale.
Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza, tuttavia, l’insussistenza del “fatto materiale contestato” andrebbe posta in continuità con l’insussistenza del “fatto contestato”, di cui all’art. 18, c. 4, della L. 300/1970, così come modificato dalla L. 92/2012, con l’effetto di far conseguire, anche per i licenziamenti intimati sotto la vigenza della nuova legge (“Jobs Act”), la reintegra nel posto di lavoro laddove il fatto contestato – pur realmente accaduto – sia privo di rilievo disciplinare, tornando, così, al concetto di “fatto giuridico”, sviluppatosi in relazione al quarto comma dell’art. 18.
Sul punto, la Corte di Cassazione è recentemente intervenuta con la sentenza n. 12174 del 08.05.2019, affermando che, invero, non v’è soluzione di continuità tra i due concetti, avvalorando l’interpretazione del fatto contestato come giuridico.
Ciò, sia in ragione della sostanziale corrispondenza terminologica tra la norma introdotta dal legislatore del 2015 e la novella dell’art. 18, c. 4, del 2012 e sia perché la struttura dell’art. 3 in parola, nei suoi lineamenti generali, riprende quella dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in considerazione del fatto che il legislatore ha inteso, comunque, attribuire “alla c.d. tutela indennitaria forte una valenza di carattere generale” (Cass. SS.UU. n. 30985/2017), alla luce della &ldquo