La terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 46032 del 16 dicembre 2021, ha ribadito quali siano i confini per la configurazione del reato di omessa risposta alle richieste di informazioni dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Vanno premessi alcuni cenni che attengono alla disciplina in questione, la quale è regolata all’art. 4 della Legge 22 luglio 1961 n. 628.
La disposizione attribuisce un ventaglio di funzioni, affidate all’Ispettorato, per il cui corretto esercizio esso può dover acquisire informazioni.
Tali funzioni attengono alla vigilanza in primis sull’esecuzione delle leggi in materia di lavoro e previdenza sociale, in genere in tutte le realtà presso le quali viene prestata attività lavorativa (art. 4, c.1, lett. a); sull’esecuzione dei contratti collettivi (art. 4, c.1, lett. b); sul funzionamento delle attività previdenziali, assistenziali e igienico-sanitarie a favore dei prestatori d’opera da parte dalle associazioni professionali o dagli enti a ciò preposti (art. 4 c.1 lett. d). Oltre a ciò, la norma attribuisce all’Ispettorato funzioni di rilevazione di diverse informazioni secondo le istruzioni Ministeriali relativamente agli ambiti ivi indicati e in generale attribuisce ogni funzione demandata da disposizioni di legge e regolamento o delegata dal Ministero del Lavoro (art. 4 c.1 lett. f, lett. g).
Infine, l’art. 4 c.7 punisce, con sanzione penale, coloro che, legalmente richiesti dall’Ispettorato di fornire notizia a norma del presente articolo, non le forniscano o le diano scientemente errate o incomplete.
In merito a tale fattispecie, la S.C. ha ribadito il principio per il quale la condotta del soggetto obbligato - normalmente il datore di lavoro - non è penalmente rilevante nei casi in cui l’omissione consista nel non aver fornito risposta a una generica richiesta di “documentazione di lavoro”, in quanto la configurabilità del reato richiede che vi sia stata domanda dell’Ispettorato riguardo a specifiche informazioni, strumentali rispetto ai compiti di vigilanza e di controllo indicati in premessa.
Inoltre, la sentenza chiarisce che il reato può configurarsi anche quando l’INL non operi nel contesto di indagini di polizia amministrativa ex art. 8 del d.P.R. 520/1955, purché, anche in questo caso, vi sia istanza, legalmente intimata, di informazioni specifiche che devono essere fornite dal datore di lavoro.
I giudici di legittimità sulla base di questa premessa hanno, nel caso in esame, disposto l’annullamento della sentenza del Tribunale per vizio di motivazione, in quanto nella stessa non erano stati specificati i documenti e/o le informazioni oggetto dell’omissione ascrivibile all’imputato. (GB)