Secondo la Cassazione può chiedere la indennità supplementare anche scaduti i termini previsti dall’art. 6 della legge 604/1966.
Secondo una recente sentenza della Cassazione (n. 395 del 13 gennaio 2020) il dirigente può far valere l’ingiustificatezza del recesso datoriale e agire in giudizio per ottenere l’indennità supplementare anche dopo che sono scaduti i termini di decadenza previsti dall’art. 6 della legge 604/1966.
Infatti, secondo la Suprema Corte, l’art. 32 della Legge n. 183/2010, che ha previsto per i licenziamenti invalidi i termini decadenziali di 60 giorni per l’impugnazione stragiudiziale e ulteriori 180 giorni per adire le vie giudiziali, riguarda per l’appunto solo il recesso datoriale affetto da invalidità, cioè da un vizio che lo renda «inidoneo ad acquisire pieno ed inattaccabile valore giuridico». I termini decadenziali in questione si applicano quindi al dirigente che lamenti la non validità del licenziamento in quanto discriminatorio, determinato da motivo illecito o comunque rientrante in una delle fattispecie di cui al primo comma dell’art. 18 della legge 300/70.
La domanda del dirigente fondata sulla arbitrarietà del recesso datoriale e non sulla sua invalidità, con richiesta di accertamento della ingiustificatezza del licenziamento e conseguente condanna del datore alla corresponsione dell’indennità supplementare, sarebbe invece esclusa dal regime decadenziale di cui al citato art. 32, che costituisce norma eccezionale insuscettibile di applicazione analogica. (LC)