Il licenziamento tardivo non comporta la reintegra| Studio Legale Menichetti

Magazine

Il lavoratore licenziato invoca spesso la tardività del recesso per ottenere la reintegra a prescindere dalla sussistenza o meno dei comportamenti imputatigli, individuando nell’immediatezza della contestazione disciplinare un elemento costitutivo del recesso datoriale.

Alcune decisioni della Suprema Corte hanno accolto detta tesi, mentre altre hanno invece negato carattere sostanziale al vizio della tardiva contestazione, con conseguente applicazione della sola tutela indennitaria.

Chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite, con sentenza 30985 del 2017, hanno escluso la reintegra, affermando che il fatto contestato tardivamente è stato comunque commesso e non può pertanto essere considerato materialmente insussistente.

La tutela indennitaria riconosciuta è però quella piena (cioè tra le 12 e le 24 mensilità) e non quella attenuata (dalle 6 alle 12 mensilità), che riguarda le sole violazioni procedurali.

Da segnalare che la fattispecie concreta all’esame della Suprema Corte riguardava una contestazione effettuata a distanza di oltre due anni dai fatti disciplinarmente rilevanti, mentre i difensori dei licenziati tendono ad eccepire la tardività in tutti i casi nei quali il datore di lavoro non abbia immediatamente proceduto in via disciplinare, senza considerare le necessità istruttorie (audizioni di testimoni, ricerca ed esame di documenti) che, al fine di evitare licenziamenti ingiusti, basati su equivoci o presupposti di fatto non veritieri, richiedono spesso più di qualche settimana e talvolta – anche in considerazione delle dimensioni aziendali - pure qualche mese. (LC)

Ruota il dispositivo!