La pronuncia con cui la Corte d’Appello di Torino, n. 26/2019, pubblicata il 04.02.2019, si è espressa sul noto caso dei rider (altrimenti detti, “ciclo-fattorini”), è emblematica della frizione sussistente tra la moderna organizzazione del lavoro e gli schemi contrattuali nei quali la realtà lavorativa viene costretta.
Nel caso specifico trattato dalla sentenza della Corte d’Appello, i rider erano stati assunti con contratti di collaborazione coordinata e continuativa a tempo determinato, per effettuare, con l’utilizzo della propria bicicletta, la consegna di pasti a domicilio, gestendo, con l’utilizzo del proprio smartphone, l’organizzazione dei turni e degli ordini.
Proprio l’organizzazione dei turni, che avveniva sostanzialmente in modo autonomo da parte dei rider, è stata il presupposto che ha consentito alla Corte torinese di respingere le istanze dei lavoratori e non riconoscere la subordinazione del rapporto di lavoro.
Infatti, erano direttamente i fattorini a comunicare al datore di lavoro in quali fasce orarie sarebbero stati disponibili per effettuare le consegne e, addirittura, pur dopo aver dichiarato la propria disponibilità, avrebbero potuto in ogni caso decidere di comunicare di non rendere la prestazione e di non presentarsi per il turno già stabilito.
Pertanto, il venir meno dell’obbligatorietà della prestazione, elemento caratterizzante il rapporto di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 2094 c.c., ha determinato la decisione della Corte di non ritenere sussistente il vincolo della subordinazione.
La medesima Corte, tuttavia, non ha potuto esimersi dal considerare che la prestazione lavorativa, quando effettivamente resa, era organizzata secondo le direttive del datore di lavoro, in ordine al tempo e al luogo dell’esecuzione dell’attività lavorativa.
Era il datore di lavoro ad indicare ai rider quando e dove effettuare la consegna, elementi, questi che, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015, comportano l’applicazione della “disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative”, di cui all’art. 409, c. 3, c.p.c..
Per superare l’antinomia di un rapporto di lavoro al confine tra la subordinazione e l’autonomia, la Corte ha deciso di dare seguito ad un’interpretazione dell’art. 2 cit., già invalsa in dottrina, secondo la quale il legislatore avrebbe inteso introdurre un rapporto c.d. “etero-organizzato”, ossia “un terzo genere, che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 c.c. e la collaborazione come prevista dall’articolo 409 n.3 c.p.c, evidentemente per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito della evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando” (pag. 20, sent. in commento).
La peculiarità di tale interpretazione starebbe non nella conversione sic et simpliciter del rapporto coordinato e continuativo in un rapporto di lavoro subordinato ma nell’applicazione della “disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione autonoma etero-organizzata (in essere), che però continuano a mantenere la loro natura. Cio` significa che il lavoratore etero-organizzato resta, tecnicamente, “autonomo” ma per ogni altro aspetto, e in particolare per quel che riguarda sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale), limiti di orario, ferie e previdenza, il rapporto e` regolato nello stesso modo” (pag. 23, sent. in commento).
In altre parole, il suddetto rapporto di lavoro coordinato e continuativo, autonomo per quanto attiene all’obbligatorietà della prestazione e dipendente per quanto riguarda il tempo e il luogo dell’esecuzione, diventa subordinato nel momento in cui la prestazione viene resa, con conseguente applicazione, solo e limitatamente a tale periodo, delle tutele previste per i lavoratori dipendenti della categoria di appartenenza in termini di sicurezza, orari e retribuzione, con esclusione, però, delle garanzie sul licenziamento.
In conclusione, avendo consentito ai rider in parola di ottenere un trattamento retributivo corrispondente a quello previsto dal CCNL di categoria, la Corte torinese ha fornito il presupposto per estendere le maglie di tutela ad un nuovo novero di lavoratori che si trovano nel limbo tra l’autonomia e la subordinazione, con l’unico limite, almeno per ora, della tutela in tema di licenziamento. (AA)