Mai, come negli ultimi anni, il diritto del lavoro ha subito interventi così significativi da parte del Legislatore.
L’introduzione della disciplina del c.d. smart working (altrimenti detto “lavoro agile”), ad opera della L. 22.05.2017, n. 81, tiene finalmente conto dello sviluppo tecnologico cha ha caratterizzato l’ultima decade, con tendenza vieppiù marcata alla informatizzazione e automazione dei processi produttivi e tenta conseguentemente di codificare una prassi applicativa che in Italia rappresenta già un’esperienza concreta nelle realtà produttive più evolute: ossia una forma di lavoro che, pur rimanendo nell’alveo del rapporto subordinato, è in grado di garantire forme di autonomia in ordine a tempi, luoghi e modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.
Ma non sembra che in tutte le realtà economiche tale processo evolutivo sia stato finora visto con favore. Infatti, la contrattazione aziendale adottata dopo la L. 81/2017, sembra avere un approccio di tipo conservativo, limitando di fatto la portata innovativa della legge.
Alcuni contratti di secondo livello hanno assoggettato il lavoratore agile all’orario di lavoro degli altri dipendenti con un contratto ordinario. Tali disposizioni si pongono in evidente contrasto con la legge già citata, che non prevede vincoli di orari.
Altri accordi aziendali, peraltro, limitano l’esecuzione della prestazione lavorativa ai “luoghi autorizzati”, vietando esplicitamente i luoghi pubblici. Ciò contravviene a quanto previsto dalla nuova legge, che si caratterizza proprio per l’assenza di vincoli di luogo, così differenziando lo smart working dal telelavoro.
Ma si può confidare – o quanto meno auspicare - che le parti sociali sappiano dimostrare di essere in grado di aggiornarsi e saper utilizzare il nuovo strumento del c.d. “lavoro agile", che avrà sicuramente molteplici risvolti sul mercato del lavoro, offrendo a sindacati, imprese e lavoratori numerose opportunità e altrettanti benefici. (AA)
