Licenziamenti e lavoro parasubordinato - Intervista avv. Andrea Dell'Omarino| Studio Legale Menichetti

Magazine

In tema di licenziamenti, quali sono i problemi più critici, nel panorama attuale?

In periodi, come l'attuale, in cui in molti settori produttivi la situazione economica non è rosea, ai professionisti dello Studio viene spesso richiesto di intervenire per affiancare il cliente nell'attivazione di procedure di licenziamento collettivo per riduzione del personale, ai sensi della legge n. 223/1991, od in procedure spesso prodromiche a quella appena ricordata, come quella concernente la cassa integrazione guadagni straordinaria. 
Lo Studio, inoltre, è spesso intervenuto in situazioni in cui le problematiche relative alle procedure di riduzione del personale confluivano con quelle relative alle procedure dettate dalla disciplina legislativa delle grandi imprese in crisi, affiancando i clienti sino alle trattative ed alla conclusione degli accordi presso il Ministero del Lavoro a Roma. Nelle aziende medio - piccole, capillarmente diffuse nella realtà del Nord Est, la situazione di crisi in cui versano molti comparti produttivi viene invece spesso risolta con il ricorso a licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 604/1966. La possibilità di ricorrere a tale tipologia di licenziamenti senza limiti numerici nelle piccole aziende (che occupino complessivamente non più di 15 dipendenti) o sino all'effettuazione di 4 licenziamenti - ove intimati per la medesima riduzione o trasformazione di attività o di lavoro nell'arco di 120 giorni in relazione alla stessa unità produttiva od a più unità produttive nell'ambito del territorio della stessa provincia - per le aziende che occupino complessivamente più di 15 dipendenti, tenuto conto della assai minor complessità di questa tipologia di recesso rispetto a quella per riduzione di personale di cui alla legge n. 223/1991, costituisce la ragione più evidente dell'ampio utilizzo anche di questa fattispecie di licenziamento nell'ambito di quelle collegate a situazioni di crisi o di ristrutturazione aziendale.

Tra i temi di cui vi occupate, c’è anche quello attualissimo del lavoro parasubordinato. Lavoro interinale e a chiamata, part time, contratto a termine, lavoro a progetto: come orientarsi da un punto di vista giuridico tra tutte queste varianti? Penso ad esempio alla situazione retributiva e previdenziale.

Le tipologie da Lei rammentate sono tra di loro assai diverse. Nell'accezione comune sono tuttavia spesso accomunate dalla definizione, oggi assai in voga, di lavori precari. Si tenga in primo luogo conto che i contratti di lavoro a part time e quello a termine, sono fattispecie proprie del lavoro subordinato. Il contratto di lavoro a part time, peraltro, non ritengo possa nemmeno in astratto qualificarsi come forma di lavoro precario, essendo invece assai spesso instaurato a tempo indeterminato, sia pure per un orario ridotto rispetto a quello normale: ma è normalmente il lavoratore che richiede di utilizzare tale tipologia al momento dell'assunzione, oppure, a seguito di mutate esigenze o necessità di vita, di convertire a tempo parziale un contratto di lavoro nato a tempo pieno. 

La disciplina legislativa in materia, peraltro (d. lgs. n. 61/2000 e d. lgs. n. 100/2001, legge n. 247/2007) pare allo stato tutelare pienamente il lavoratore che instauri un tale tipo di rapporto, cui si applicano, peraltro, ove il rapporto sia a tempo indeterminato ed a seconda del numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, le medesime norme di tutela in materia di licenziamenti proprie dei rapporti di lavoro a tempo pieno. 

Il contratto a termine è invece visto, soprattutto da parte di alcune sigle sindacali, con maggior sospetto, ritenendosi che con l'utilizzo di tale tipologia contrattuale il datore di lavoro intenda sottrarsi alla disciplina in materia di licenziamenti. Sulla questione si potrebbe replicare, dati alla mano, che invece, il contratto a termine è spessissimo un mezzo con il quale il lavoratore riesce più facilmente a farsi assumere ed a farsi conoscere per quello che vale. Per questo non condivido le limitazioni all'utilizzo di questa tipologia contrattuale introdotte con la legge n. 247/2007 (il c.d. protocollo sul welfare), a parziale modifica del d. lgs. n. 368/2001. Quanto alla somministrazione di manodopera (era infatti la legge n. 196/1997, la c.d. legge Treu, che aveva introdotto nel nostro ordinamento giuridico il lavoro interinale, disciplina poi sostituita dal d.lgs. n. 276/2003, la c.d. legge Biagi, che ha invece introdotto il lavoro somministrato), ritengo che anche questa tipologia abbia incrementato l'occupazione del nostro Paese. Sostanzialmente, la nuova normativa, così come disciplinata nel d.lgs. n. 276/2003, prevede la legittimità della somministrazione di manodopera, ovviamente se operata da soggetti autorizzati, con la possibilità di fornire manodopera anche a tempo indeterminato, oltre che a termine, come era invece nella precedente disposizione legislativa. 

Tuttavia, la legge n. 247/2007 ha ora abrogato, con decorrenza dal 1.1.2008, la tipologia del contratto di somministrazione a tempo indeterminato. Analogamente, il contratto di lavoro a chiamata (od intermittente) è stato abrogato, sempre con decorrenza dal 1.1.2008, dalla legge n. 247/2007, che ha così introdotto, eliminando tale tipologia contrattuale, anch'essa prevista per la prima volta dal d. lgs. n. 276/2003, un nuovo elemento di rigidità nel mercato del lavoro, oltre ad aggravare le problematiche di questi comparti che utilizzavano proficuamente tale figura (penso, tra gli altri, al settore della ristorazione, soprattutto per le prestazioni rese nel fine settimana dai camerieri, anche se per il comparto del turismo e dello spettacolo la legge n. 247/2007 ha previsto la possibilità, per i contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, di individuare specifiche ipotesi di lavoro discontinuo da svolgersi nei fine settimana). 

Tutte le forme contrattuali sino ad ora esaminate sono peraltro di lavoro subordinato: solo il contratto di lavoro a progetto o programma di lavoro, introdotto dal d. lgs. n. 276/2003 è una tipologia propria del lavoro autonomo, sia pure parasubordinato. Anche in relazione a tale tipologia, peraltro, l'accusa di favorire il precariato pare in molti casi eccessiva. Questo in quanto la disciplina legislativa del lavoro a progetto o programma di lavoro, che ha pressochè integralmente sostituito la previgente figura del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, da un lato ha reso il ricorso a tale forma contrattuale più difficile rispetto ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, subordinandolo a più stringenti requisiti di forma e di sostanza e, dall'altro, ha introdotto norme di tutela sostanziale (sulla determinazione del compenso, sulla durata di tali contratti, sulla possibile previsione di periodi di malattia, ecc.) che hanno certamente reso i soggetti operanti con questa tipologia contrattuale ben più tutelati rispetto a coloro che invece operavano con i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

Precariato, flessibilità, mobilità: nozioni che spesso si confondono, soprattutto per quanto riguarda le modalità di cessazione del rapporto lavorativo. Quali sono le differenze, da un punto di vista normativo?

Credo di avere sostanzialmente già risposto. Con il termine precariato ci si riferisce genericamente a tipologie contrattuali, anche di lavoro subordinato, che per avere una durata predeterminata (contratto a termine), per essere svolte nella forma della somministrazione, o per essere di natura autonoma, sia pure parasubordinata (contratti a progetto ed a programma di lavoro), hanno, dal punto di vista legislativo, minori tutele in caso di cessazione del rapporto di lavoro. 

Ed è proprio con riferimento a tale elemento che spesso si ritiene che i soggetti che operino con queste forme contrattuali siano più propensi ad accettare forme di flessibilità o di mobilità che altrimenti non verrebbero accettate. Ma, a mio avviso, per quanto sopra chiarito, questo può essere vero solo in parte, atteso che anche le tipologie appena sopra ricordate sono corredate da un bagaglio di norme che rendono  non solo teorica la possibilità di tutela per i soggetti che operino con tale forma contrattuale. D'altro canto, un ulteriore inasprimento delle norme di tutela in materia di cessazione del rapporto di lavoro anche a favore dei soggetti che operano con tipologie contrattuali parasubordinate, oltre ad irrigidire senza ragione questi contratti, finirebbe solo per renderli meno appetibili (come in parte lo sono già diventati, atteso l'inasprimento contributivo attuato negli ultimi due anni), condannando probabilmente tanti prestatori d'opera a rapporti privi di regolarizzazione alcuna e certamente ben più carenti di tutela di quella che oggi ad essi riconosce l'ordinamento italiano.

Ruota il dispositivo!