Quando l’utilizzo di internet può portare al licenziamento del lavoratore| Studio Legale Menichetti

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Il datore di lavoro può recedere dal rapporto se aveva preventivamente vietato l’uso di internet per motivi personali e quando l’utilizzo per tali fini extra lavorativi è stato eccessivo.

L’utilizzo di internet, dei social media e della posta elettronica sul luogo di lavoro per fini personali, può integrare gli estremi della infrazione disciplinare e portare addirittura al licenziamento del dipendente.

Ma si deve trattare di connessioni continue e prolungate nel tempo, tali da comportare un rilevante inadempimento degli obblighi contrattuali.

Ad esempio la Cassazione ha recentemente riconosciuto la sussistenza di un assenteismo virtuale, tale da legittimare il recesso datoriale, nella effettuazione di 6.000 connessioni ad internet estranee al rapporto lavorativo nell’arco di 18 mesi (cfr. Cass. 3133/2019) e nelle 45 ore complessive di collegamento nell’arco di due mesi (cfr. Cass. 14862/2017).

Il licenziamento potrebbe però essere dichiarato illegittimo qualora il datore di lavoro avesse in precedenza consentito l’accesso ad internet per motivi extra lavorativi oppure nei casi in cui il contratto collettivo prevedesse l’irrogazione di una sanzione conservativa (cfr. Cass. 26397/2013) o non fosse comprovato un danno effettivo arrecato all’azienda (cfr. Cass 22353/2015).

Per ridurre il più possibile l’incertezza sulla liceità dei comportamenti e l’irrogabilità di sanzioni correlate all’uso di internet, appare opportuno che ogni azienda adotti, come da tempo suggerito dal Garante della Privacy, un regolamento interno ed un codice disciplinare che determinino se – ed in quale misura - è autorizzata la connessione internet per fini extra lavorativi (LC).

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