Proviamo a semplificare per il lettore comune, verosimilmente e comprensibilmente disorientato dal frastuono di un dibattito spesso fuorviante, i termini della questione sulla riforma della disciplina dei licenziamenti.
Rispetto alla disciplina vigente (art. 18 della legge n. 300 del 1970 e norme collegate) – per la quale i dipendenti delle imprese medio-piccole e grandi hanno diritto in ogni ipotesi di licenziamento illegittimo, oltre al risarcimento del danno, alla ricostituzione per sentenza (reintegrazione) del rapporto di lavoro, mentre i dipendenti delle micro-imprese (di regola, con meno di sedici dipendenti) hanno diritto soltanto al risarcimento del danno attraverso una indennità in misura relativamente modesta (fino a 6 mensilità), essendo la reintegrazione per essi prevista esclusivamente nell’ipotesi di licenziamento per motivo discriminatorio o comunque illecito – le esigenze di riforma generalmente riconosciute (anche in un documento programmatico dell’attuale governo), e sollecitate dall’Unione Europea, possono essere così sintetizzate:
1) rafforzare la c.d. “”flessibilità